28a Domenica ordinaria, 13 Ottobre 2019

Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?
Fede è anche gratitudine, riconoscenza e ringraziamento, riconoscimento che solo Dio, in Gesù Cristo, può guarire, purificare e salvare.
Due stranieri
‘purificati’ dalla lebbra, malattia che escludeva e allontanava dalla convivenza sociale, rendeva impuro e ‘scomunicava’, colui che disgraziatamente ne era colpito, veniva escluso dalla vita religiosa perché questa veniva considerata vera propria maledizione di Dio conseguenza del peccato e castigo ad esso connesso. Essere guariti, perciò, oltre a riportare benessere al corpo, era il segno del perdono e della ritrovata relazione e comunione con Dio e della riammissione nella vita sociale e religiosa.
Gli undici lebbrosi
, Naaman della prima Lettura e i dieci del Vangelo, sono pagani, stranieri, ritenuti impuri ed emarginati ed esclusi socialmente e religiosamente, il primo incontra Eliseo, profeta di Dio, i dieci ‘invocano pietà’ da Gesù, Figlio di Dio. Tutti e undici ricevono, anche se in modo diverso, dignità, salute, riammissione nella vita sociale e religiosa.
Il Profeta, non accettando i doni della ricompensa, professa di essere solo uno strumento di Dio e accoglie la professione del guarito nel Dio di Israele, unico su tutta la terra. Gesù, il Figlio di Dio che Lo rende presente nella Sua persona e nella Sua opera risanatrice di quei dieci lebbrosi dei quali uno solo, il samaritano, si è lasciato anche salvare per la sua fede che lo ha spinto a ‘tornare indietro lodando Dio a gran voce e a prostrarsi davanti a Gesù, ai Suoi piedi, per ringraziarlo’ (Lc 17,15-16)! Eliseo, sia con il rifiuto dei ricchi doni sia, soprattutto, con la sua professione di fede, si dichiara di essere solo ‘mezzo’ e sacramento nelle mani di Dio , il Quale opera la purificazione e la guarigione di Naaman, mentre è Gesù in persona, nel Vangelo, ad operare prodigi e ‘miracoli’, ‘segni efficaci’ della Sua divinità, e a guarire i dieci lebbrosi dalla loro orribile malattia, anche se, poi, è uno solo a riconoscerLo e a tornare per ringraziarLo. La guarigione - purificazione di Naaman  e del Samaritano, entrambi ‘stranieri’ e ‘nemici’ di Israele, non solo fa recuperare loro la salute fisica, ma li ha aperti alla fede, cioè, al passaggio dalla ‘guarigione’ del corpo alla salvezza totale della persona, che può realizzarsi solo nella relazione vitale ed esistenziale dell’uomo creatura che si lascia salvare dal vero ed unico Dio Creatore. I due ‘guariti’, Naaman e il Samaritano, riconoscono che non è né Eliseo né l’acqua del Giordano che posseggono virtù miracolose e magiche, nemmeno l’obbedienza formale a dei comandi da eseguire, come quello di andarsi ad immergersi sette volte nelle acque del Giordano  o andare a presentarsi ai Sacerdoti perché certifichino la completa guarigione dalla lebbre, ma è il Dio di Israele, Signore unico ‘su tutta la terra’ e la Persona di Cristo, Figlio di Dio, che guariscono, ridanno dignità e salvano.
Ancora una volta, la Parola
, oggi, vuole insegnarci che non sono i miracoli a far nascere e crescere la fede e a costruire un rapporto con Dio: la riprova è data dal diverso comportamento dei lebbrosi, tutti guariti, dopo aver tutti invocato la ‘pietà’ dal Maestro, cioè, da Colui che ne ha il potere, ma per nove di loro, la ‘guarigione’ (miracolo) si è fermata al corpo, non si è ‘compiuta’, non l’hanno fatta arrivare all’anima! Solo uno, il samaritano pagano, è tornato indietro a dire grazie a Gesù, riconoscendoLo, così, Liberatore di un male che lo angosciava nel corpo (lebbra) e Salvatore di tutta la sua persona, per la sua fede in Lui, che si manifesta,ora, nella gratitudine e adorazione. La fede è dono di Dio per tutti, è alla portata di tutti, ma non tutti l’accolgono: i dieci sono tutti consapevoli e coscienti di essere ammalati e considerati impuri; tutti chiedono ‘pietà’ al ‘Maestro’, che passa e si ferma al loro grido di dolore, accomunati dallo stesso bisogno e tutti e dieci sono stati guariti, ma non tutti si aprono alla fede, anche se hanno ‘obbedito’ ed eseguito il comando di presentarsi ai sacerdoti.
Paolo, prigioniero e in catene
, avverte Timoteo di non scoraggiarsi nelle prove che deve affrontare a causa della diffusione del Vangelo, perché la Parola di Dio non può essere incatenata da alcuno, né può essere condizionata dal suo stesso annunciatore e testimone: le persecuzioni, le catene e le prigionie degli Apostoli, non ostacolano la diffusione dell’annuncio del Vangelo, anzi, sono e diventano occasioni per dimostrare la fecondità intrinseca alla Parola Vivente. Così, Paolo assicura Timoteo e ciascuno di noi, con questa sua chiara testimonianza di fede: io sono imprigionato e incatenato, a causa del Vangelo, come possono essere imprigionati e incatenati, anche altri discepoli, ‘ma la Parola di Dio non è incatenata’, anzi, ‘corre veloce’ (Sal 147,15) e arriva a quanti l’ascoltano e la eseguono e realizza, per sua efficacia, tutto ciò per cui è stata mandata, tutto ciò che rivela e promette! Con quel solenne imperativo, paterno ed esigente, ‘ricordati’, infine, l’Apostolo chiede a Timoteo, e ad ogni Cristiano, (di fare appello alla ‘memoria attualizzante’ (zikkeron) sulle fondamentali verità della fede: Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo, il Discendente dalla casa di Davide, il Redentore nostro e Salvatore di tutta l’Umanità.

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Ultimo aggiornamento 11/10/2019 - 11:59

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