13a Domenica Ordinaria, 01 luglio 2018
Dio non ha creato la morte
ma
la vita, che ama e vuole che ciascuno di noi
l’accolga come dono e mai se ne impossessi,
la ‘spenda’ al servizio degli altri e la
condivida con i fratelli, custodendola con
cura e difendendola con tutte le forze,
perché è sacra, dal primo concepimento fino
al suo naturale compimento.
Dio, infatti, non ha creato la morte e non
gode per la rovina dei viventi. Ha creato
l’uomo per l’incorruttibilità: lo ha fatto
immagine della Sua natura. Per l’invidia del
diavolo la morte è entrata nel mondo (Gen 3)
e ‘ne fanno esperienza coloro che le
appartengono’ (prima Lettura).
Dio Creatore,
infatti, ha creato le Sue creature,
nell’intrinseca Sua bontà, per
l’incorruttibilità e per l’immortalità,
mentre, per invidia, il diavolo continua a
seminare ‘veleno di morte’ che conduce alla
morte eterna.
Altra fondamentale
e necessaria precisazione: Genesi 3,
Sapienza 2,24 e Paolo in Rm
5,12-21 e in 1 Cor 15,35-57, si riferiscono
primariamente alla ‘morte spirituale’
dell’uomo, della quale, quella fisica non è
altro che una conseguenza. Dunque, i testi
parlano della ‘morte fisica’, come
conseguenza del peccato. I testi, infatti,
non affermano che non vi sarebbe stata la
morte, se i progenitori non avessero peccato.
La vita dell’uomo
sulla terra, infatti, è una tappa transitoria
e temporanea: anche se non ci fosse stato il
peccato, dunque, vi sarebbe stato ugualmente
questo passaggio all’ultima tappa, quella
definitiva, senza, naturalmente, tutto
l’immane dolore fisico, morale e spirituale
che, a causa del peccato, ora, accompagna,
intristisce e rende oscura ed angosciante la
nostra morte! La morte sarebbe stata per
tutti come il dolce ‘sonno’ (dormitio)
e la gloriosa ‘assunzione’ (assumptio)
al cielo della Vergine Maria, perché
concepita, appunto, senza peccato!
Le tenebre
del peccato generano angoscia e ci mettono di
fronte alla nostra vulnerabilità,
limitatezza, fragilità e mortalità. Gesù,
oggi, ci rivela, con i gesti e le parole, che
Egli è venuto a guarirci dalla malattia e a
liberarci dal peccato, che la genera, e dalla
morte, entrata nel mondo per invidia del
diavolo, al quale l’uomo si consegna,
sospettando e ribellandosi a Dio.
Così, Paolo,
nella seconda Lettura, esorta i
cristiani a non ripiegarsi e a non avvitarsi
su se stessi e a condividere con chi è
nell’indigenza, con generosità, nella
fratellanza e uguaglianza, i propri beni. Il
cristiano non solo deve donare, ma
donarsi,
deve essere generoso, sull’esempio di Cristo
che ha arricchito tutti noi, spogliando Se
stesso: dalla Sua povertà noi siamo stati
arricchiti! Allora, deve combattere ogni
disuguaglianza e nell’abbondanza condividerla
con chi vive o è costretto a continuare a
vivere nella sua miseria della sua indigenza,
a causa del nostro egoismo e della nostra
indifferenza,
Attenzione!
L’Apostolo dà a questa ‘colletta’, ‘opera
generosa’ (v 7c) di carità, una lettura
teologica ed ecclesiale che
trasforma un gesto di collaborazione
‘pecuniaria’ in uno stimolo permanente
a ripensare e a rifondare, in modo nuovo
e proprio attraverso una vita condivisa
e compartecipata, la propria
relazione e il proprio legame con
Cristo e con i fratelli, soprattutto, più
poveri e più indigenti.
Nel vangelo di
Marco, oggi, notiamo subito, almeno,
due interessanti particolari, nel suo ‘racconto
ad incastro’: in entrambi gli episodi
sono protagoniste due donne,
un’ammalata da dodici anni, l’altra di
dodici anni. In tutte e due, Gesù
opera, guarisce e ridona la vita, attraverso
un contatto fisico e senza che la
folla si possa accorgere di nulla! Ho toccato
solo le Sue vesti, e sono stata salvata’ (v
29). ‘Prese la mano della bambina e le
disse: talità kum! E la fanciulla
subito si alzò’ (vv 41-42).
Alcuni
particolari da non trascurare: Gesù
interviene a favore di due donne, una
malata e l’altra morta; entrambe
sono legate dal numero dodici: tanti
gli anni di sofferenza dell’emorroissa, tanti
gli anni della fanciulla morta, tante le
tribù d’Israele; l’elemento comune ai
due episodi è la fede in Gesù, il
Quale conclude dichiarando alla donna “la
tua fede ti ha salvata” (34) ed
esortando il padre della fanciulla “non
temere, soltanto abbi fede!” (v 36); il
luogo è ancora il lago di
Galilea, chiamato ‘mare’, perché così
chiamavano ogni specchio d’acqua gli
ebrei; testimoni: i discepoli e la
molta folla, che si riunisce attorno a Gesù!
La morte che ci fa tanta paura, dunque, e
il male che ci assedia non li ha creati e non
li produce Dio, che non gode per la rovina
dei viventi (prima Lettura). Egli ci
ha creati per la vita e per amore e, in Gesù
Cristo, ci libera dalle tenebre del peccato e
della stessa morte: ‘Va in pace e sii
guarita dal tuo male’ e ‘talità-kum,
fanciulla, Io ti dico: alzati!’
(Vangelo).
Ultimo aggiornamento 29/06/2018 - 12:25