30a Domenica Ordinaria, 23.10.2016
La preghiera che
sgorga dal cuore umile e sincero penetra le nubi e tocca
le corde del cuore di Dio
La
necessità della Preghiera perseverante,
costante, in ogni momento, senza stancarsi mai,
con fiducia e fede, deve sgorgare da un cuore umile e
sincero, che sappia prendere coscienza del proprio
peccato e dei propri limiti, di essere debitori e,
perciò, sempre più bisognosi della Sua divina
misericordia. La superbia, l’orgoglio, l’autosufficienza
e lo stile autoreferenziale rendono impossibile la
Preghiera e falsano e svuotano le nostre preghiere.
L’orgoglio del fariseo.
Presuntuosamente e superbamente, egli
si ritiene giusto, fino ad additare e
condannare, con disprezzo e odio, chi gli sta
accanto, e tutti gli altri, che osa giudicare e
condannare come ‘ladri, adulteri, ingiusti’. Egli
non è così, perché compie tali prescrizioni stabilite:
digiuna, paga la decima! È ‘salito’ al
Tempio, non per lodare il Signore e ringraziarLo, ma per
esaltare il suo io, pomposo e irriguardoso di Dio e
degli altri simili, dei quali, sdegnosamente e
altezzosamente ‘si separa’, differenziandosi
superbamente, disprezzando e denigrando gli altri.
Il fariseo, ritto in
piedi e pieno di sé, pregava tra sé (pròs
eautòn), rivolto a se stesso e ripiegato su se
stesso. La sua ‘preghiera’ non ha altra direzione che se
stesso. Il suo è monologo:
parla con se stesso, si riferisce a se stesso, nel suo
superbo autocompiacimento e nella sua arrogante
autoesaltazione.
Soliloquio non colloquio. La preghiera
parte da lui e si conclude in lui. Nessuna relazione
cerca, nessun interlocutore, solo io, io, io.
‘Dio, ti ringrazio, perché non sono come gli altri
uomini’ (v 11). Per il fariseo (da parus,
participio, ‘separato’), il soggetto/fine della
sua gratitudine non è Dio, ma se stesso, i suoi pregi,
le sue opere, il suo pagare le decime, il suo digiunare
e il suo ‘non essere come gli altri’: perché io
sono superiore e migliore di loro, io sono
diverso e ‘separato’ da questa marmaglia di ladri,
adulteri e ingiusti! Ma, sei salito al Tempio per
pregare e ringraziare Dio o per guardare, additare e
disprezzare gli altri e il pubblicano?
L’umiltà del pubblicano
gli fa riconoscere e ammettere la precarietà e
vulnerabilità della sua condizione creaturale, per
affidarsi a Dio e consegnarsi alla Sua misericordia,
accogliendo la grazia e il dono della Sua
giustificazione. Anch’egli era ‘salito’ al Tempio, ma
solo per battersi il petto, riconoscersi bisognoso di
amore e di perdono e invocare ‘pietà’ dal suo Dio. ‘Non
osava nemmeno alzare gli occhi al cielo’, in segno
di vergogna per il suo peccato e a voler confessare che
non era degno nemmeno di incontrare lo sguardo di Dio,
al Quale, battendosi il petto, in segno di pentimento e
di dolore, sa balbettare appena l’essenziale ‘o Dio,
abbi pietà di me peccatore’ (v 13). Anche, ora,
Gesù, con chiarezza e autorevolezza, rivela il giudizio
di Dio riguardo ai diversi comportamenti dei due uomini,
saliti al tempio per pregare: ‘Io
vi dico’, il
pubblicano, che ha riconosciuto la sua mancanza e,
pentito del suo peccato, nella sua miseria, si è
lasciato abbracciare da Dio, pietoso e
misericordioso, ‘tornò a
casa sua giustificato’. Non così per il
fariseo che, avendo ‘pregato’ e ringraziato solo se
stesso, autocelebrandosi ed esaltandosi, continuerà a
restare schiavo della sua stessa presunzione di sentirsi
superiore, più giusto e, perciò, ‘distaccato’ da tutti
gli altri, che egli condanna senza pietà e disprezza,
con astiosa superbia. Gesù è chiaro nella Sua
motivazione: Dio, Padre, lento all’ira e ricco di
amore misericordioso, è sempre pronto a perdonare,
perché vuole
salvare tutti i Suoi figli, ma non tutti i figli vivono
e agiscono da Suoi figli! Condizione per lasciarsi
giustificare è l’umiltà,
che ci fa riconoscere la nostra miseria e ci dispone a
lasciarci abbracciare al Suo cuore misericordioso
e materno. A perderci e impedire il dono della
giustificazione di Dio, invece, è la nostra
autoesaltazione superba e orgogliosa, fino al disprezzo,
pieno di odio, verso gli altri, giudicati,
impietosamente ladri, ingiusti e adulteri. Così, Gesù
conclude il Suo insegnamento: ‘chiunque
si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà
esaltato’ (v 14b).
Ultimo aggiornamento: 20/10/2016 -
17:57